«Altro che lusso. La cultura è il migliore investimento» Convegni, mostre, eventi: a Firenze la settimana F L 0 R E N S 2010 Parla l'economista francese: « La politica internazionale dei Beni culturali e ambientali dei tagli non dovrebbe mai riguardare l'arte» di FRANCESCA PIERANTOZZI
Parigi COSA ci va a fare un economista specializzato in teorie dell'inflazione e politiche dell'occupazione a un convegno sui beni culturali? Semplice, a fare il suo mestiere. Perché la cultura «non è soltanto fonte del benessere dei popoli, ma anche fonte di rendimento», spiega Jean-Paul Fitoussi, presidente dell'Osservatorio francese per la Congiuntura Economica e docente all'Institut d'Etudes Politi-ques di Parigi. Fitoussi partecipa a Florens 2010, la settimana internazionale dei Beni culturali e Ambientali organizzata a Firenze fino al 20 novembre: trenta convegni, dieci mostre, 150 eventi e il Forum Internazionale.
Con esperti e rappresentanti dei più importanti musei del mondo, il Forum, così si legge nel comunicato stampa, «mira a promuovere il patrimonio culturale e ambientale quale volano di sviluppo economico e sociale, proponendo un modello innovativo di golden eco-nomy».
Professor Fitoussi, la cultura non rischia di diventare, se non è già diventata, un lusso, che in tempi di crisi economica e sociale, di disoccupazione, precariato ed esplosione del debito pubblico, non ci possiamo permettere? «li grave problema che ci troviamo di fronte è la tentazione di adottare peri beni culturali una politica a corto, termine. In questa ottica, certo, i beni culturali, ma anche l'edu cazione, la ricerca, addirittura l'occupazione, non producono reddito. Non immediatamente. Al contrario, queste politiche devono, per definizione, avere un orizzonte a lungo termine, devono essere messe al riparo dai contraccolpi della congiuntura, altrimenti a lungo termine si avranno soltanto danni. E di grave entità, se consideria mo, che "la cultura, è quel che resta all'uomo quando tutto è dimenticato"».
Tutti sono d'accordo nel considerare la cultura, il patrimonio del passato o la creazione del presente, un elemento vitale per le società. Quando però si tratta di far quadrare i bilanci, è lì che si taglia. "Le casse sono vuote" è la risposta dei governi, praticamente ovunque. «E' una visione sbagliata: le politiche di sostegno ai beni culturali possono diventare. esse stesse un motore di crescita, favorire l'uscita dalla crisi. Prendiamo soltanto il turismo, una risorsa fondamentale in paesi come la Francia o l'Italia, un motore essenziale dell'attività economica. I benefici che queste politiche potrebbero generare sono ben superiori alle cifre che richiedono di essere investite».
Ma se i conti sono così facili da fare, perché le economie snobbano la cultura? «Perché continuano a vincere le politiche a corto o cortissimo termine. Proprio quelle stesse politiche che ci hanno condotto dentro a questa crisi. Perché la politica economica continua ad essere dettata dalle esigenze di far crescere il Pil e ridurre il debito pubblico. Esigenze che non hanno nulla a che vedere con il benessere delle popolazioni, che dovrebbe invece essere la prima preoccupazione, Per questo si tratta di cattive politiche. Faccio una considerazione paradossale. L'Italia, come gli altri paesi europei, è angosciata dalle proporzioni del suo debito pubblico. Vendere tutto quello che si trova dentro gli Uffizi di Firenze basterebbe a ripagare più volte il debito dell'Italia. Perché non lo fa? Perché vendendo gli Uffizi, anche ripagando il suo debito, l'Italia sarebbe più povera. Perché ridurrebbe il benessere del suo popolo. Perché il valore degli Uffizi aumenta ogni giorno. Questo dimostra che la cultura, che i beni culturali, sono un elemento potente dell'economia, che vanno protetti; valorizzati e sottratti a false esigenze di ri;ore di bilancio».
In questa ottica ritiene che bisognerebbe percorrere, anche in Europa, una via all'americana di partenariato tra pubblico e privato per sal *** vaguardare la cultura e la creazione? «Si, ma soltanto se il partenariato è basato sul mecenatismo. Non va bene invece se il settore privato si impossessa della maggior parte dei profitti».
L'economia quali beni culturali deve considerare: il patrimonio, la creazione, la conservazione, la valorizzazione, l'ambiente? «C'è in effetti il pericolo che i governi considerino che le risorse sono appena sufficienti per conservare quello che ci arrivato dal passato, che il passato sia abbastanza. Il rischio è costruire dei paesi musei. La conservazione un'esigenza, ma sostenere la creazione di cultura per il futuro deve essere un'esigenza altrettanto forte. Che inoltre crea attività, economica ed occupazione».
Nessun commento:
Posta un commento