Alla fine dello scorso mese si è celebrato a Bologna l’annuale rito dell’Arte Fiera, la più importante mostra mercato dell’arte italiana dove gallerie d’arte provenienti da tutto il mondo, espongono in vendita le opere dei loro artisti.
Quest’anno l’importante vetrina è apparsa sottotono rispetto alle precedenti edizioni, sia per il forte calo di presenze degli espositori che dei visitatori. Come valutare questo fatto? causa della crisi economica o primo passo verso una ritrovata consapevolezza che considera l’arte non più solo merce?
Quello che stiamo attraversando è un periodo particolarmente difficile per l’arte contemporanea a causa dei tagli a quelle strutture come i musei dedicati alla promozione del contemporaneo che hanno ridotto o cessato del tutto l’attività: è accaduto per esempio alla Fondazione Pomodoro a Milano e al MADRE di Napoli. Nondimeno le vendite di opere d’arte non conoscono la crisi dell'euro e il rallentamento della crescita economica, tanto che nel 2011 hanno avuto ricavi record con incrementi che, secondo i dati forniti, sono stati del nove per cento rispetto al 2010.
Eppure la crisi di quelle strutture istituzionalizzate dell’arte contemporanea possono diventare un’opportunità, un primo passo in grado di dare un’indicazione su come interpretare la crisi e superarla.
Si presenta l’occasione della fine di una società consumistica e superficiale per annunciare l’inizio di un periodo di consapevolezza responsabile capace di dare il giusto valore alle opere d’arte.
In questa nostra epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte così come fu tratteggiata da Walter Benjamin, l’artista sa che se vuol essere riconosciuto “i suoi prodotti non possono che apparire nella forma di merce”; all’autore “come produttore” è subentrato l’artista come mercante e ben sappiamo che oggi, ancor prima delle merci, quello che va prodotto è il loro consumo esattamente come avviene col sistema della moda che per esistere deve inventarsi di continuo i propri consumatori. Per promuovere un artista si utilizzano apparati produttivi in piena regola. Viene messa in piedi una struttura pari a quella che serve per lanciare un auto o un vestito.
Ogni artista però sa che se la sua opera assume prevalentemente valore di merce di scambio, assolve solo parzialmente allo scopo della forza generatrice che l’ha prodotta.
Sa altresì che esistono luoghi dove il valore è espresso, per dirla con Benjamin, nella riproducibilità dell’arte tecnicizzata di massa dove non esiste l’esemplare originale, in contrapposizione all’espressione artistica tradizionale legata ai valori accademico-museali di unicità ed esistono luoghi non destinati all’esposizione, alla ritualizzazione dell’arte, luoghi liberi da prescrizioni mercificatorie dove l’arte è in diretto contatto con il loro destinatari quali sono gli spazi pubblici. Questa operazione, priva l’opera di valore puramente commerciale, restituendole valore d’arte. Non più oggetti ma opere d’arte che dialogano in modo diretto con il pubblico senza finte cornici.
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