mercoledì 2 novembre 2011

Considerazioni su La Ricerca Artistica nella Dinamica Artistica Fruitore di Ignazio Fresu


INTERVENTI DI: Ignazio Fresu, Leonardo Bruni, Claudio Balducci...
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Considerazioni su La Ricerca Artistica nella Dinamica Artistica Fruitore

La ricerca artistica nella dinamica artistica fruitore Ignazio FresuSe la ricerca, parafrasando Nietzsche, è “volontà di conoscenza”, tutte le azioni umane in quanto tali, sono fondate sulla ricerca attraverso la scienza e l’arte ad eccezione delle religioni che pur avendo già dal più lontano passato, un ruolo centrale per l’uomo ed in tutti i sistemi sociali, si oppongono alla “volontà di conoscenza” considerandola all’origine del male.La ricerca ha spesso visto minacciata la propria stessa esistenza perché vista in opposizione alla fede che per sua stessa natura non è oggetto di discussione.Sia la ricerca scientifica che artistica sono state osteggiate ma l’arte, in tutte le sue forme, ha in sé il particolare vantaggio di porre il fruitore in una condizione privilegiata rispetto ad una conoscenza unidirezionale.L’oggetto d’arte travalica i limiti razionali “scientifici” e propone, al di là di tutte le sue forme, dalla letteratura al trattato filosofico, dalla musica alla poesia, la ricerca come volontà di conoscenza in senso interattivo rivolgendosi al fruitore/ricercatore come disvelamento. Questo avviene in modo apparentemente irrazionale rispetto alla ricerca scientifica per le intrinseche implicazioni spirituali che ne conseguono, per alcuni aspetti simili a molte religioni, ma in autonomia da queste.L’arte, in beffa alla sacra romana e universale Inquisizione (ora congregazione per la dottrina della fede), in beffa a tutte le censure, alla arroganza e magnificente apologia del Potere, ha in sé il seme della ricerca.Un importante contributo a questo riguardo è stato proposto da Marcel Duchamp che ha riconosciuto come l’oggetto d’arte non si contestualizzi in sé in quanto arte, ma chiami lo sguardo del fruitore/ricercatore, per divenire tale. Duchamp, inoltre afferma che l’oggetto d’arte per essere definito opera d’arte, deve essere inserito in uno spazio che lo qualifichi come tale, poiché fuori da quello spazio perderebbe di senso. Senza fare torto a Duchamp, il concetto proprio di spazio può essere esteso a quello di contesto storico-sociale ed è per questo che oggetti d’arte che nei millenni hanno perso la loro funzione e si sono essi stessi radicalmente modificati nel tempo, conservano valore artistico allo sguardo del fruitore costretto, se desidera comprendere l’opera, a compiere uno sforzo riflessivo e provare a dargli un senso.Un senso definitivamente non finito, che può trovare la sua finitudine, il suo senso o, meglio, uno dei suoi possibili sensi, solo nello sguardo del fruitore/ricercatore.Ciò significa che il fruitore è sempre chiamato a completare l’opera, conferendole significati, Il fruitore/ricercatore non sta passivamente davanti all’opera ma interpretandola la ri-crea, entra compiutamente nel processo creativo, diventa egli stesso artista.La ricerca del fruitore, oltre a conferire lo status di opera d’arte all’oggetto che si propone come tale, nello svelamento interpretativo, contribuisce all’ermeneutica configurandosi come metodo di ricerca attraverso il quale ogni aspetto della realtà presente e passato è interpretabile a partire dalla conoscenza del suo carattere storico e legato ad una particolare tradizione culturale. In questo modo l’arte non è qualcosa che rimane al di sopra di ogni cosa, stabile e immutabile indipendentemente dalle epoche e dalle diverse società, ma è il senso che può rivestire la realtà entro i cammini mutevoli e soggettivi dati dall'interpretazione.
Ignazio Fresu
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CONSIDERAZIONI SU «LA RICERCA ARTISTICA NELLA DINAMICA ARTISTA-FRUITORE» di Ignazio Fresu. [cfr. SKEDA Ott. 2O11 n°4]Vorrei puntualizzare nel senso puro ed oggettivo di discernimento [gr. Κρίνω ] ovvero di «distinguo», senza nessuna accezione venata da pregiudizio, alcune affermazioni riportate da tale articolo. Innanzitutto, quando un uomo di cultura fa determinate affermazioni, bisogna evitare di essere così tranchant. Si corre il rischio di sostenere posizioni insostenibili. Nietzsche, bontà sua, avrà pur affermato che “la ricerca è volontà di conoscenza, attraverso la scienza e l'arte ad eccezione delle religioni che si oppongono alla volontà di conoscenza considerandola all'origine del male”, ma resta il fatto storico incontrovertibile che ogni religione ha cercato di «rilegare» [ lat. Religo ] l'uomo a Dio. La ricerca della verità e della salvezza non è forse “volontà di conoscenza”? Che poi nessuna religione -come attività umana- sia riuscita a conoscere com'è fatto Dio questo è assodato. Diverso però è il caso storico del cristianesimo. Questi non è una religione, ma una Rivelazione. Ovvero non è un tentativo umano di conoscere Dio, ma Dio stesso che ci viene a trovare. Mostrandosi com'è. L'iniziativa parte da Dio, attraverso il fatto storico della “incarnazione”.Ora San Tommaso d'Aquino scriveva che «la verità si definisce così: essa è conformazione alla realtà». Vale a dire una cosa è vera se corrisponde, aderisce ai fatti accaduti o che accadono oggi. Se non corrisponde non è «vera». Per cui la frase riportata nell'articolo : “La ricerca ha spesso vista minacciata la propria stessa esistenza perché vista in opposizione alla fede che per sua stessa natura non è oggetto di discussione”, lascia sorpresi. La fede cristiana, invece, è da più di duemila anni oggetto di discussione. La riprova si ha nella statistica dell'I.S.B.N. Qual è la voce su cui sono stati scritti più libri? La prima è “Dio”, il secondo titolo guarda caso è “Gesù Cristo”. Sul quale sono stati scritti quasi 100.000 (centomila) libri. Con tutta evidenza c'è una discussione.Diverso sarebbe stato se al posto del termine “fede” ci fosse stato il termine “dogma”. Questo sì che, ad un certo punto, da parte del Magistero della Chiesa non può più essere oggetto di discussione. Non perché non se ne possa discutere, ma perché la nostra ragione non è onnisciente. Di fronte ad alcune verità rivelate da Dio, dopo aver compreso tutto quello che c'era da comprendere, prende atto che resta una zona d'ombra o di mistero impossibile a capirsi, come posso percepire un teorema di matematica. Comunque la nostra vita è avvolta dal mistero. Parlando, un anno fa, con un astrofisico questi mi spiegava che l'universo resta per loro un mistero. Centinaia di miliardi di galassie continuano ad allontanarsi tra loro. Segno che l'universo è “giovane” e che la forza del big-bang non si è esaurita. Il fatto che ogni galassia abbia migliaia di miliardi di stelle, rende però il tutto incomprensibile. Che “senso”ha tutto questo? Non è comprensibile a livello razionale. Così per i dogmi la chiesa sia che il Dicastero si chiami Santa Inquisizione, sia che si chiami Congregazione per la Dottrina della Fede ad un certo punto deve chiudere la discussione. Superando le capacità umane di ragione, ad un certo punto -dopo aver compreso tutto quello che c'era da comprendere- bisogna decidere: affidarsi per fede a ciò che ha stabilito Dio oppure no. Uno può studiare Filosofia e laurearsi in Sacra Teologia. Può studiare un manuale, un tomo chiamato De Eucarestia di 500 pagine. Dentro ci sta tutto quello che la ragione umana può argomentare. Favorevoli o contrari. Ma poi “come faccia” Dio a trasformare un po' di pane e vino in Se Stesso, dopo le parole di un sacerdote, il poveretto non lo sa. Lo crede, ma non lo può capire.Riguardo al rapporto tra Artista e Fruitore, ovvero la maggior parte dell'articolo, non si può essere che d'accordo. Riflettendo su Marcel Duchamp «l'oggetto per essere definito come opera d'arte, deve essere inserito in uno spazio che lo definisce come tale». Profondamente vero. Può essere una “ sola finestra” [= monofora] un'opera d'arte? Se inserita in una cattedrale gotica, nell'abside, dietro all'altare, certo che sì. Da questa grande finestra la luce proveniente da oriente, simbolo della venuta di Cristo, illumina l'altare. Invece in una chiesa barocca l'abside è chiuso. C'è dietro l'altare -al posto della monofora gotica- una grande pala, ovvero un dipinto di grandi dimensioni. Anche questo dà al fruitore un messaggio artistico ben preciso: illustra il Titolo o il Santo a cui è dedicata la chiesa.Ebraismo e islamismo sono aniconici, senza immagini. Essendo Dio purissimo spirito non si può dipingere né scolpire. Sinagoghe e moschee sono vuote. Il cristianesimo è all'opposto. Dio si è fatto visibile si può rappresentare. Al punto che la Sacra Liturgia esige che le chiese siano piene di Icone (immagini) non solo di Cristo, ma anche dei santi, ovvero dei suoi amici. E' risaputo che se noi togliamo da un libro della Storia dell'Arte tutte le opere a sfondo religioso ci restano poche pagine. Addirittura per certi periodi storici ci resterebbe solo la copertina. Per questo molte chiese vengono visitate a livello di “museo”. Interessante alla fine dell'articolo sono le riflessioni sul fruitore/ricercatore. Su tale argomento, proprio nella chiesa italiana, ci sono oggi forti discussioni. Gli artisti contemporanei hanno abbellito molte chiese con le loro opere. A volte il popolo fruitore ne ha compreso il senso. Ovvero il suo cuore e la sua ragione è approdata a ciò che l'artista voleva trasmettere. A volte il fruitore- popolo ne è rimasto scioccato. Come quando un noto artista fece un crocifisso e un fonte battesimale per una chiesa. Apriti cielo. Chiunque guardasse il crocifisso, analfabeta o laureato, nonostante tutti gli sforzi riflessivi non riusciva a vederci il “senso”. Stessa storia per il fonte, per cui cominciarono i primi motteggi: «Ma è una giostra?». Anche un monsignore, venuto da un'altra basilica, disse: «Che gira?».Personalmente ho avuto l'occasione di seguire l'artista emergente della chiesa italiana: Oliviero Rainaldi. Chiamato il pupillo della C.E.I. Per la nostra chiesa, in bronzo dorato e poi invecchiato ha fatto opere egregie. Il popolo fruitore ne è rimasto ammirato: fonte battesimale, ambone, crocefisso, tabernacolo ecc. Guarda caso, però, lo stesso artista in un'opera a Roma, dallo stesso popolo-fruitore è stato contestato. Una statua di Giovanni Paolo II in bronzo, con un enorme mantello e una piccola testa che usciva fuori. Risultato: commenti negativi a non finire. La domanda è sempre la stessa: l'artista per la libertà infinita dell'ispirazione può chiamare “arte” tutto ciò che gli viene in mente? Oppure deve cercare una “collimanza” affinché l'oggetto che esce dalle sue mani debba essere percepito come artistico dal fruitore?Giotto dipingendo il ciclo degli affreschi ad Assisi, agì in un certo modo. Al punto che diventarono una biblia pauperarum. Chi non sapeva leggere e scrivere solo con lo sguardo poteva comprendere la storia della salvezza.Oggi, purtroppo, le cose sono un po' più complicate: sono diventate surreali, kafkiane o pirandelliane, come dir si voglia. Un povero pretino della Toscana è andato a Roma -all'ufficio artistico della C.E.I.- per farsi dare un contributo per la sua nuova chiesa. Bocciato. Il poveretto aveva portato il progetto con tutte le opere d'arte annesse. Aveva però progettato la chiesa a forma di croce, come accade da millenni. «Ci dispiace -è stata la risposta- la C.E.I. finanzia solo chiese a forma circolare». Amen.
Leonardo Bruni
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LA RICERCA COME NECESSITÀ DI FRONTE ALLA MANCHEVOLEZZA DELL’ESPERIENZA
Una nota in merito al dibattito fra Ignazio e Leonardo – Claudio Calducci
Che succede se il superamento della velocità della luce da parte dei neutrini venisse confermato?
Molto probabilmente succederebbe che una gran moltitudine di scienziati oggi occupati in progetti di ricerca all’interno del paradigma einsteiano dovrebbe ricominciare da capo, rivedere i propri apparati, metter mano a ricerche nuove, rinunciare a ipotesi care, magari alcuni potrebbero anche trovarsi senza lavoro.
Annuncio: “i neutrini sono più veloci della luce”. Reazione: “qualcosa è sicuramente sbagliato, le prove devono essere fatte e rifatte” . Di che si tratta? Si tratta di una reazione da parte della comunità scientifica di fronte a una scoperta che rischia di buttare all’aria il loro apparato e il loro lavoro.
Una resistenza.
Ma come, anche la scienza resiste alla ricerca?
Anche lo scienza, in quanto apparato organizzato e organizzato attorno a lavori che possono essere ribaltati da nuove scoperte. Però le nuove scoperte hanno nella scienza il diritto all’ultima parola perché la scienza si basa su una esperienza che concettualmente può arrivare fino agli ultimi termini.
La nostra esperienza originaria è la piattezza dell’ambiente in cui viviamo. Poi arriviamo di fronte al mare e costruiamo delle imbarcazioni e le vediamo abbassarsi all’orizzonte, assistendo alla scomparsa dello scafo, poi di una parte dell’albero, poi dell’ultima punta. I dati di una nostra esperienza immediata (quella della piattezza) si scontrano con i dati di un’altra nostra esperienza immediata e noi siamo costretti a fare delle ipotesi che possano spiegare entrambe le serie di dati. Queste ipotesi ci spingono a fare delle esperienze nuove, ci spingono ad affrontare l’ignoto. Ci spingono a sperimentare gli ultimi termini dell’esperienza.
Ma ci sono cose che non possono essere sperimentate. Così come vediamo apparire la punta dell’albero della nave e poi l’intero albero e poi lo scafo nell’orizzonte lontano, allo stesso modo vediamo apparire dal nulla un bambino; e così come vediamo scomparire lo scafo e poi l’albero e poi la sua punta, così vediamo morire l’anziano, l’amico, il giovane.
Ma mentre possiamo affrontare l’ignoto del mare, non possiamo affrontare l’ignoto della sorgente della vita né quello della morte. Anche la religione è volontà di conoscenza e anche la reliigione parte da dati dell’esperienza e anche la religione formula ipotesi. Ma non può arrivare fino agli ultimi termini. Non può verificare le proprie ipotesi. Anche la religione, come la scienza trova elementi di resistenza ad ogni cambio di ipotesi e di esperienza, ma ci sono dei limiti oltre i quali non può andare nella verifica della prova.
Questa differenza non è imputabile al clero e neanche alla religione. È semplicemente connaturata alla condizione umana. È l’uomo che non può sperimentare ciò che non può sperimentare. Di fronte a ciò che non può essere attraversato dall’esperienza pur essendo vissuto da ciascuno di noi, l’uomo si trova solo a dover decidere. Si tratta di una decisione inevitabile e comunque sempre priva di ogni verifica. E comunque sempre sottoposta alla tentazione del giudizio.
L’apparato ecclesiastico giudica coloro che non prestano fede. Ma anche gli atei giudicano chi presta fede. Ma entrambi prestano fede. Ed entrambi prestano fede senza possibilità d’esperienza.
Eppure dalla parte delle religioni esistono delle esperienze originarie, delle rivelazioni. Di fronte a questi eventi si pongono due ordini di problemi: il valore delle rivelazioni e la loro pluralità. Ma avremo modo di affrontare un’altra volta questo problema.

Claudio Balducci
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Inserito da Enzo Correnti

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